Il docente universitario Antonino Risitano, che nelle scorse settimana ha dichiarato che il Ponte sullo Stretto a campata unica non è realizzabile, ha voluto ribadire il concetto con una serie di osservazioni che ha messo per iscritto in una relazione. Ecco il testo
Introduzione
Prima di entrare nei motivi del mio No al ponte sullo stretto ad una campata, è necessario fare un minimo di mia presentazione, ciò per evitare che chi legge possa dire, non conoscendomi, ma chi è “questo” che da sentenze su un argomento tecnico di così tanta importanza anche scientifica.
Mi sono laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino nel luglio de 1969. Al Politecnico ho seguito la carriera scientifica e di docenza e nel 1980 son diventato professore Ordinario di Costruzione di macchine con il Maestro prof. Giovannozzi che molti che mi leggono conoscono. Al politecnico, fra l’altro, ho insegnato in qualità di docente incaricato il corso di Costruzione di motori per missili per gli allievi ingegneri aerospaziali. Nel 1980 sono stato “chiamato” a Catania dove ho insegnato Costruzione di macchie e altri insegnamenti del corso di laurea in ingegneria meccanica.
Per 26 anni sono stato direttore di dipartimento e per sei anni preside di facoltà di ingegneria. Per 15 anni sono stato coordinatore del dottorato di ricerca in “meccanica strutturale”. In tutta la mia carriera, ritenendo che per fare il professore anche per quelli ingegneri che non avrebbero fatto gli studiosi continuando nell’ università dopo la laurea, ho seguito attività pratiche di rilievo e nello stesso tempo molto formative. Infatti, ho svolto oltre 100 perizie sia in qualità di consulente tecnico di ufficio (per il tribunale) sia in qualità di consulente tecnico di parte (per grosse ditte italiane e straniere). Sono autore di più di 200 articoli scientifici e di due volumi scientifici pubblicati negli USA
(1), (2).
Ho ritenuto necessario fare questa sintesi del mio curriculum perché ho notato che tanta
gente si è chiesta chi io fossi e quali competenze potessi avere per dare pareri anche in contrasto con i tanti ingegneri e specialisti che al progetto del ponte hanno lavorato.
In queste mie osservazioni non farò alcun cenno a condizioni di bellezza naturale del posto che potrebbero giustificare e che giustificano le reazioni di cui conosce direttamente il posto e non solo per fotografia aerea (Foto 1). Tanto meno accennerò a problematiche di cui non ho alcuna competenza come all’aspetto geologico di cui tanti specialisti e studiosi hanno evidenziato la criticità.
Mi limiterò a spiegare nel modo più semplice possibile le problematiche tecniche che portano alla non fattibilità del ponte a campata unica perché, praticamente, inutilizzabile per gli scopi per cui la costruzione di un ponte si giustifica.
Breve descrizioni dei luoghi
Debbo aggiungere che i miei forti dubbi prima, e la convinzione poi, della non fattibilità del ponte, sono nati quando ho avuto modo di vivere direttamente la situazione ambientale del luogo dove il ponte dovrebbe nascere. Da 13 anni vivo infatti ad esattamente 300 m dal baricentro della pila di sostegno lato Capo Peloro. In tutti questi anni ho potuto notare la situazione ambientale soprattutto in termini metereologici che si vive in questa particolare zona. Il contatto con i paesani ed in particolare con i pescatori del luogo mi ha confermato quanto avevo già sentito dagli appassionati di vela e anche da elicotteristi che per motivi di lavoro avevano “volato” la zona in condizioni di venti
provenienti da Sud ed in particolare di venti di scirocco. Per chi vive sui luoghi conosce benissimo che nelle giornate di scirocco è impossibile fermarsi e ammirare lo stretto sul breve lungomare caratterizzato da una serie di palme che da circa 20 annisono state piantate. Tratto posizionato quasi sulla riva e distante dal baricentro del pilone di sostegno del ponte (in direzione ortogonale alla riva) meno di cento m. Nelle giornate di vento di scirocco, senza fare riferimento ai casi eccezionali richiamate dell’esperto ing. Fabrizio Averardi Ripari e riportate su Strettoweb del 13 aprile 2023,
non è possibile stare sul lungomare perché diventa pericoloso e non per le onde del mare ma per il pericolo che qualche ramo di palma che si distacca procuri dei danni. Infatti passando per la via costeggiata dal filare di palme (via Circuito)nei giorni di scirocco, si vedono rami per terra. Cosa importante ai fini dei miei dubbi è il fatto che le giornate di scirocco (o in generale venti del Sud) hanno frequenza di almeno 6 giorni al mese con periodo medio di 15 giorni. I dati sopra riportati non sono solo quelli rilevabili da strumentazioni ma derivano anche dall’esperienza diretta degli abitanti
del luogo. Periodo di 3 giorni di scirocco ogni 15 giorni, significa 72 ore di scirocco ogni 15 giorni.
Una particolarità dei venti in questa zona è la variabilità sia in direzione che in valori di velocità, con raffiche fastidiose. Qualche esperto: Ritengo critica la verifica della effettiva operatività del ponte sino a venti di 110 km/h che ridurrebbe la necessità di interruzione del servizio ad una media di un
giorno all’anno: In altre parole afferma che la velocità del vento a valore di 110 km/h porterebbe al non esercizio del ponte almeno per una volta l’anno. Ma nella zona di cu istiamo parlando, la velocità del vento raggiunge i valori massimi. Quando sulla costa dove dovrebbe nascere il pilone di sostegno (alto 400 m) la velocità è sui 40 km/h, sul traliccio dell’Enel, gli anemometri posizionati in vetta,
segnano velocità di 130‐140km/h. In tali condizioni al centro dello stretto le velocità massima, a quota di circa 100 m, raggiungono valori superiori a 200 km/h. I dati riportati sulla velocità sono quelli dichiarati anche nell’intervista dell’esperto prima citato. E’ ancora da aggiungere che quando in prossimità delle palme, a cui si è accennato, il vento non permette nemmeno di soffermarsi, nel lato sud della città (Casello autostradale di Tremestieri) lo scirocco, come diciamo noi, “non si sente , le velocità diventano normali, quasi una brezza, sui 4‐5km/h.
La variabilità del vento prima descritta è data dalla conformazione dello stretto che è simile a quella classica di in “tubo di Venturi”. Ovvero un tubo con sezione variabile e con una sezione ristretta significativa. Basta guardare una foto aerea per notare la differenza di distanza fra le due coste (Fig. 1). La conformazione delle colline, da una parte e dall’altra delle due coste, definisce le pareti del “tubo di Venturi”.
È noto a tutti che nella sezione ristretta le velocità dei fluidi (nel nostro caso, acqua
e aria) per il principio di conservazione dell’energia, variano fortemente.
Brevi cenni tecnici
Fatta la breve premessa sulle condizioni aerodinamiche nella zona, riportiamo qualche cenno di carattere generale sulla struttura che caratterizza un ponte di qualsiasi lunghezza esso sia.
A parità di materiale e a parità di tipologia di vincoli, esiste una relazione fra la lunghezza della campata e il peso del ponte. Più il peso è elevato tanto più limitata deve essere la lunghezza della campata. Nel caso di un ponte, in generale, i pesi che entrano in gioco sono il peso proprio il peso dei carichi di esercizio e il peso dei carichi accidentali. Tutti e tre i contributi limitano quindi la
lunghezza del campata. La particolarità del ponte sullo stretto è dovuta al fatto che i carichi
accidentali non sono una costante. In essi bisogna mettere in conto anche le azioni del vento che, per quello che abbiamo detto prima, non sono così accidentali. Infatti, almeno per più di 70 giorni all’anno l’effetto vento è presente. Ma ancora più problematico è il fatto che essi non sono costanti ma sono variabili in intensità e direzione. Non per niente nell’intervista l’ing. Averardi Ripari affermava: “le azioni del vento sono quelle a cui il ponte è più sensibile”: Il peso totale poi, a sua volta,
non può superare certi limiti. Più il peso proprio è alto più deve essere limitato l’effetto dei carichi di esercizio e accidentale.
Questo in generale è quanto vale per tutti i ponti. Nel nostro caso la campata è di 3300 m unica al mondo. La massima campata nelle costruzioni esistenti è meno di 2000 m. Per quanto detto prima, ciò impone un peso proprio limitato, (entro ovviamente i limiti di resistenza), perché i carichi di esercizio siano compatibili con l’uso del ponte e perché resti margine per i carichi accidentali. La lunghezza della campata del ponte condiziona, ovviamente l’esercizio (se pesa di più può portare di
meno). Per cui, al limite, si potrebbe fare un ponte, che stia in piedi sotto il peso proprio ma che non sia capace di essere caricato (un monumento solo da vedere e dimostrare che siamo bravi a fare i ponti più lunghi del mondo).
In occasione di una perizia su un ponte di piccole dimensioni (ma la problematica è la stessa) ho potuto rilevare come esso sia crollato, purtroppo in quel caso con un morto. Stava passando, infatti, un piccolo camion il ponte è crollato e il guidatore è caduto nel canale ed è morto. Il motivo del crollo era stato il sovraccarico che, nel tempo, asfaltando l’impalcato, senza togliere prima il vecchio strato, si era venuto a formare. Un esempio tipico quindi: si era aumentato il peso del ponte a scapito dei pesi di esercizio (il camion che stava passando). L’esempio mette in evidenza già subito un problema di cui si parlerà in seguito: quello della manutenzione.
Una struttura di peso limitato comporta una bassa rigidezza (flessibilità elevata) e quindisotto carichi esterni, essa diventa oscillante. Tuttavia una struttura può sopportare condizioni di carico che la rendono oscillante si tratta di mantenere il tutto entro i limiti di resistenza del materiale adottato.
Infatti tutti i ponti hanno delle deformazioni sotto carico e conseguenti situazione vibratorie ed essi svolgono regolarmente il loro esercizio.
Sicuramente i progettisti del ponte ad una sola campata di cui qui parliamo, conoscono
perfettamente le problematiche e sicuramente, in sede di progetto, sono state tutte affrontate.
Proprio per questo la mia convinzione della ancora non presentazione di un progetto esecutivo (per togliere ogni dubbio ed ogni equivoco, un progetto pronto per essere cantierabile). Società importanti e di elevata esperienze come quelle a cui, nel tempo, è stata affidata la progettazione del ponte, avrebbero avuto già pronto (nel cassetto) il progetto esecutivo e non si sarebbe parlato di progetto definitivo. Ovvero un progetto esecutivo in cui ogni minimo particolare del manufatto, dalla vite più insignificante al bullone, alla vernice o alla saldatura, etc., etc., è univocamente definito perché tale, quel componente, deve rimanere per tutta la vita del ponte (tecnicamente quella
definita “vita infinita”). Tale deve essere mantenuta, attraverso programmi e protocolli di
manutenzione supportati da sistemi di monitoraggio anche sofisticati.
Ma il caso del ponte sullo stretto di Messina (campata 3300 m) di cui ho prima sintetizzato certi aspetti metereologici è diverso dal caso di ponte della stessa lunghezza costruito in pianura e in zona in cui le condizioni di venti sono stabili. Ovvero dove non esistono turbolenze, vortici e raffiche variabili. Per rendere l’idea ripeto quello che ho spiegato ad un comandante di grossi aerei di linea: una cosa è atterrate in condizioni di stabilità, una cosa diversa è atterrare con forte turbolenze.
Turbolenze che non durano i dieci minuti della fase di atterraggio di un normale aereo ma durano tre giorni, tanto per quanto tempo sono presenti i venti di scirocco di cui prima ho fatto cenno. Il comandante si è convinto, la sua risposta: “Grazie ingegnere, è stato chiarissimo. E’ necessario assolutamente approfondire la questione in galleria del vento in ambienti indipendenti da interesse
economici”.
Ho fatto riferimento all’atterraggio di un aereo proprio perché, in questa fase, la situazione del ponte e l’ala dell’aereo sono simili. In tutti e due i casi la velocità relativa media è di cerca 200 km/h.
La posizione del ponte ad una campata è quella della zona ristretta del tubo di Venturi dove le velocità raggiungono i valori più elevati sia in direzione che in modulo con gradienti (variazione nel tempo) elevati. (vedi ancora Foto).
Ling. Gian Michele Calvi nella sua audizione alla camera del 18.04.2023, metteva in evidenza le problematiche del vento: “Ritengo critica la verifica della effettiva operatività del ponte sino a ventidi 110 km/h che ridurrebbe la necessita di interruzione delservizio ad una media di un giorno all’anno.
Egli evidenzia, quindi, che la velocità del vento già a 110 km/h ridurrebbe l’esercizio del ponte. In realtà, se i 110 km/h del vento sono un limite, il ponte rimarrebbe chiuso per almeno 70 giorno all’anno e non per un giorno come affermato dall’esperto ingegnere Calvi. Almeno tanti sono i giorni in cui (in quota), nella zona centrale dell’impalcato, la velocità di 110 km/h viene superata. Anche l’ing. Edoardo Cosenza consigliere del CNI (Consiglio Nazionale Ordine Ingegneri) nel suo intervento alla Camera parla del problema aerodinamico, come quello ancora da approfondire. “Il progetto approvato nel 2011 rappresenta un’ottima base di partenza”. Conferma poi, che bisogna
approfondire con sperimentazione e ricerca di idonei materiali “ per la risoluzione del problema principale che è quello del vento”.
Tutte le prove in galleria del vento sono state fatte proprio al fine di simulare il comportamento del ponte sotto l’effetto aerodinamico. Ma la simulazione in galleria, come è a tutti noto, non può mai riprodurre le situazioni imprevedibile che in natura si possono realizzare. Il solo effetto scala rende già di difficile interpretazione i risultati. E’ stato visto che l’impalcato del ponte si comporta come una struttura alare e per migliorare la situazione relativa alla portanza, i progettisti hanno avuto la saggia idea di interrompere la continuità trasversale dell’impalcato distanziando le carreggiate. Una scelta
che, come dicono gli stessi progettisti, è stata esportata in altre nazioni e in altri luoghi che però, aggiungo io, non risentono di situazioni critiche come quelle, descritte prima, rilevabili nella sezione più ristretta dello stretto.
Considerazioni sulla tipologia strutturale
La struttura, che come si è visto deve essere flessibile perché deve essere leggera, pure se resiste ai carichi di progetto, pone dei problemi per le oscillazioni che si possono presentare sotto l’azione di forze esterne. Senza entrare in problemi di condizioni di risonanza che si potrebbero innescare ma sicuramente studiati, affrontati e risolti dai progettisti, ci limitiamo, visto lo scopo della relazione, a mettere in evidenza che una struttura flessibile, come deve essere quella del ponte a campata unica
di tale lunghezza, sotto l’azione del vento avrebbe delle oscillazioni con valori di spostamenti laterali (e non solo) che si aggiungerebbero a quelli prodotti dai carichi di esercizio ed accidentali, in questo caso, entrambi variabili. In tali condizioni, generalmente, il progettista risolve il problema e invece di affidarsi ai valori di resistenza statica del materiale che usa, fa riferimento a quello che viene chiamato “limite di fatica” del materiale (1).
In genere, almeno nella formazione della nostra Università, gli esperti della progettazione nel caso di carichi non costanti (“progettazione a fatica”) sono gli ingegneri meccanici. Gli ingegneri strutturisti di ponti, oggi, hanno competenze del problema della fatica sulle strutture ma, spesso, si affidano a
scelte del coefficiente di sicurezza più elevato compensando così quella differenza che esiste fra il valore di riferimento del materiale (carico di snervamento o di rottura) con il limite di fatica che è sempre più basso.
Nei ponti normali (non a campate di lunghezza elevata), in cui non bisogna fare i conti con la leggerezza della struttura per premiare i carichi di esercizio, tutto funziona perfettamente. In un aereo non potrebbe funzionare perché se non si ottimizzasse il progetto (sempre con scelte al limite della sicurezza), ma con riferimento a dati di resistenza limiti, l’aereo non riuscirebbe ad alzarsi da terra.
Nel caso del ponte di Messina siamo ancora in una situazione simile a quella di una struttura aeronautica. Per le situazioni vibratorie dovute ai venti, che come abbiamo visto, non sono limitate nel tempo ma sono in numero di ore annue elevate, la progettazione deve essere una “progettazione a fatica”. Una tale progettazione richiede materiali caratterizzati a tale scopo già in fase di progetto.
Il ponte così progettato può resistere e svolgere le sue funzioni. Diventa, in questo caso, essenziale il monitoraggio e la manutenzione che debbono essere continui e secondo protocolli rigidi e ben definiti.
Per tutto quanto detto prima si arriva alla conclusione che un ponte a campata unica della lunghezza di 3300 m può portare se stesso ma, in sicurezza, può svolgere (solo in parte ) le sue funzioni. E questo può avvenire solo se è previsto un programma di monitoraggio e manutenzione continua e dettagliata. In altre parole il progetto è definitivo non solo se ogni componente, come detto prima, è stato definito, ma se esiste il programma di manutenzione che ne permetta il controllo con relativo protocollo. Da qui i miei dubbi sulla fattibilità e realizzazione del ponte come strumento di collegamento per il trasporto fra le due sponde. Nemmeno l’intervento dell’ingegnere Fabrizio
Averardi Ripari ha fugato i miei dubbi in quanto non ha parlato mai di progetto esecutivo. Il progetto esecutivo è quello di cui fa parte integrante il piano di monitoraggio e manutenzione.
Il piano di manutenzione con protocolli dettagliati costituisce l’ultima fase del progetto ed è quello che garantisce la “vita” nel tempo, la “durabilità” della struttura (di ciascun componente della struttura). In questo caso il piano di manutenzione riveste un ruolo importantissimo perché garantisce la continuità nella affidabilità della struttura anche in presenza di vibrazioni (fatica della struttura) e di condizioni critiche. l’ing. Gian Michele Calvi, riferendosi alla durabilità, nella sua audizione alla camera, ha affermato: “un aspetto essenziale su cui ho notato non sia stato posto l’accento”. Egli come esempio di impegno nel monitoraggio e nella manutenzione continua, richiamava il ponte di Akashi. Per dare una idea dell’importanza di tale essenziale attività, basta, oggi, seguire gli avvenimenti del ponte Morandi di Genova.
Io ipotizzo, invece, che l’accento sulla “durabilità” non sia stato posto non perché poco sensibile o sottovalutato dai progettisti ma per le difficoltà che il mantenimento della struttura, nel tempo (nei secoli =“vita infinita”), pone. Problemi di manutenzione di gran lunga superiori a quelli che in simili esperienze sono state già affrontati. Problemi a “vita infinita” a cui, ovviamente, sono legati il monitoraggio continuo, la manutenzione continua e non ultimo il fattore economico, (costi/benefici).
Avendo parlato di vibrazioni di un certo interesse, bisogna precisare che nei giorni di vento (circa 70 giorni all’anno) la circolazione sul ponte sarebbe limitata. Limitata per i mezzi pesanti (come riconosciuto nel progetto), impossibile per i treni. Per i quali ultimi, esasperando il concetto, dicevo:
i treni su un’altalena non possono viaggiare. Ovvero l’ampiezza delle oscillazioni sarebbe tale che ne limiterebbe quanto meno la velocità. Un treno che viaggia a passo d’uomo è però un treno fermo.
Impatto ambientale.
La manutenzione di cui si è prima parlato incide, a sua volta, parecchio su quello che è il conteggio sull’inquinamento. I dati sulla valutazione dell’impatto ambientale, già più volte propagandati, non solo reali. La stima eseguita, su cui si basano anche le valutazioni espresse dai politici, magari portati fuoristrada, non mette in conto quello che deve essere valutato per dare dati certi. In un mio volume
del 2006 (2) mettevo in evidenza come anche per l’ingegneria industriale è necessario non solo guardare alla sicurezza, all’affidabilità (cosa necessaria e indispensabile per qualsiasi prodotto) all’aspetto economico, ma bisogna anche progettare e realizzare in funzione della salvaguardia ambientale. Salvaguardia ambientale, non solo con rispetto ai luoghi, tradizioni, storia, ma anche a quei fattori che determinano il futuro dei luoghi e le condizioni di salute ambientali. A tale scopo il conteggio dell’inquinamento e (dell’energia necessaria) per la realizzazione di un prodotto va fatto,
non solo con riferimento ai parametri diretti (emissioni di prodotti nocivi per l’uso del ponte) ma a tutto quanto, in termini di impatto ambientali, necessita per la realizzazione: reperimento delle materie prime fino al loro disfacimento (ciclo di vita). Una stima di questo tipo è stata eseguita da studiosi, e riportata su un articolo della stampa (Repubblica 14.03.2023). Il confronto fra i dati stimati con il criterio del “ciclo di vita” e quelli riportati, derivanti da valutazioni di massima fatte in fase di progetto, metteva in evidenza volumi nocivi all’anno almeno 10 volte superiori. In altre parole, nel caso del ponte, le stime che vengono fatte sulla base dei dati su elementi mobili che attraverserebbero il manufatto, confrontate con quelle delle navi attualmente in esercizio, sono non corrette. Un confronto reale deve tener conto del “ciclo di vita” con valutazione anche del contributo di una continua manutenzione.
Un discorso analogo a quello che si fa per l’impatto ambientale, deve essere eseguito per le
valutazioni economiche: costi/benefici.
Soluzione ponte a tre campate
Da tutto quanto detto prima si deduce che, per chi scrive, il ponte ad una sola campata non è realizzabile almeno per il “naturale” uso.
Il ponte, non a due campate ma a tre campate, può essere realizzabile e svolgere le attività per cui un ponte ha ragione di essere costruito.
Le dichiarazioni dei progettisti che trovano l’elemento aerodinamico come quello che deve essere più attenzionato, inducono a far pensare che se tale effetto potesse essere limitato il ponte non presenterebbe le difficoltà che fino ad ora si sono rivelate di difficile soluzione, almeno per l’affidabilità (sicurezza nei secoli).
Da una visione della foto aerea e dai brevi cenni sui venti locali all’inizio riportati, si capisce che la soluzione a tre campate, come concluso dalla commissione ministeriale nel 2021, è quella più fattibile. Una soluzione che si baserebbe su esperienze conosciute (campate di poco inferiori a 2 km) e in un contesto di correnti e aerodinamica completamente diverso (siamo già fuori dalla sezione ristretta del tubo di Venturi). Nella zona sud della città l’effetto dei venti, come accennato all’inizio,
è meno sentito. Il ponte a tre campate, secondo una delle soluzioni, verrebbe costruito nella zona sud della città dove ormai l’effetto Venturi è poco sentito. La distanza passerebbe da 3300 m a circa
- Tenendo conto che le velocità dei fluidi nei tubi variano con i quadrati dei diametri si intuisce il perché quando lo scirocco a Punta Faro raggiunge i 40 km/h a Sud della città (casello di Tremestieri) la velocità si riduce a qualche km/h. I costi di monitoraggio e di manutenzione sarebbero (perché meno severi) inferiori e compenserebbero, nel tempo, la differenza dei costi di costruzione fra le due soluzioni.
Per quanto riguarda il fattore inquinamento la situazione a campata unica e a tre campate
praticamente non differiscono di molto. Per la meno severità delle condizioni di monitoraggio e
manutenzione continua, in questo caso meno severa, i volumi di inquinanti, considerando il ciclo di vita, non sarebbero di gran lunga differenti.
Conclusioni
Il ponte ad una sola campata della lunghezza di 3300 m si può realizzare MA, se venisse realizzato, non potrebbe essere utilizzato per gli scopi per cui un ponte ha ragione di essere costruito: collegamento per trasporto stradale e ferroviario.
Un ponte a tre campate sarebbe di più facile realizzazione e soprattutto potrebbe essere utilizzato e con costi (a parte quelli di impianto) non superiori di quello ad una sola campata. Gli ingegneri civili oggi hanno competenze e danno sicurezza con i loro progetti. Gli ingegneri civili sanno che a parità di resistenza dei materiali il carico totale è inversamente proporzionale al quadrato della luce (luci grandi, carichi piccoli). Sanno che per privilegiare i carichi di esercizio e accidentali (in questo caso non costanti ma variabili per il vento), il ponte deve essere il più leggero possibile
compatibilmente con la resistenza “limite” dei materiali. Sanno che una struttura leggera e flessibile (tenuto conto della lunghezza e delle forze esterne fortemente variabili), per 70 giorni all’anno diventa una struttura fortemente oscillante. Sono al corrente che a causa delle oscillazioni vengono indotti problemi di fatica dei materiali e dei componenti che impongono (una volta realizzato) una
manutenzione particolare (continua, programmata) come viene fatto per le strutture aeronautiche.
Quanto sopra detto è noto a tutti i progettisti e specialisti. In particolare è noto a coloro che al progetto hanno lavorato. È proprio questo, a mio avviso, il vero motivo per cui ancora non è stato esposto il progetto esecutivo e per cui, fino ad ora, si è parlato solo di progetto definitivo.
Per il ponte così come fino ad ora proposto, occorrerebbe una manutenzione adeguata e continua.
Essa sarebbe la sola che potrebbe garantire sicurezza nel tempo. Si parla di una struttura che non può durare solo per i tempi definiti da normative ma deve avere “vita infinita”. Una manutenzione che per contro, nel caso specifico, garantirebbe l’esercizio ma nello stesso tempo, ovviamente, lo
limiterebbe.
L’esercizio, come evidenziato dagli stessi progettisti, sarebbe limitato per le oscillazioni dovuti all’effetto del vento che impedirebbe il passaggio dei treni e limiterebbe anche il transito del gommato pesante, ma non un giorno all’anno come da qualcuno è stato dichiarato ma per circa 70 giorni all’anno.
Le valutazioni costi/benefici in tali condizioni (continua manutenzione) pone dei problemi in termine di scelte che anche a “vita infinita” potrebbero incidere sulla economia del paese e degli italiani. In parole semplici, chi usa il ponte e chi non lo usa dovrebbe pagare pedaggio per tenerlo in piedi.
Il ponte ad una campata non è “green” Una analisi completa, mettendo in conto tutti i fattori di inquinamento e tenendo conto del “ciclo di vita”, porterebbe a valore di prodotti nocivi di gran lunga
superiori a quelli che vengono riportati da qualche politico. In conclusione:
Il ponte da una sola campata sullo stretto di Messina è fattibile ma non utilizzabile.
Non è per niente condivisibile che il ponte sullo stretto, come anche da qualche tecnico affermato, “è una grande sfida che possiamo vincere con un grado di affidabilità molto alto”.
Il ponte sullo stretto non può essere solo una sfida per tecnici e politici la quale si può vincere con grado di affidabilità molto alto (molto quanto ?). Il ponte sullo stretto deve garantire la non distruzione di quello che la Natura ha regalato e deve avere, caso mai fosse costruito, certezze di stabilità a “vita infinita” e non solo nel significato strettamente tecnico ma “nei secoli dei secoli”.
Il ponte a tre campate risulta fattibile perché quello che da tutti i tecnici ed esperti è definito problema principale, (aerodinamica), al di fuori della strettoia del “tubo di Venturi”, per le condizioni orografiche (vedi foto), è poco sentito. È fattibile perché, oltre ad essere utilizzabile (lunghezza massima della campata inferiore di circa 2000 m), avrebbe a garanzia esperienze costruttive importanti conosciute e continuamente citate da tutti gli esperti di costruzione di ponti a lunga
campata.
Prof. Ing. Antonino Risitano