Di Matteo Messina Denaro c’erano solo vecchie foto, e ricostruzioni al computer del suo volto invecchiato, ipotesi su come potesse essere cambiato negli anni l’uomo che, per trent’anni, è riuscito a sfuggire all’arresto. Oggi, giornata che i siciliani, e non solo, ricorderanno, è finita la latitanza del boss dei boss di quella vecchia guardia della mafia in grado per tre decenni di comandare non lasciare tracce.
Il suo profilo quello del capomafia spietato. Soprannominato “u siccu” o “diabolik”, è nato a Castelvetrano il 16 aprile del 1962. Da capo del mandamento della sua città è diventato in pochi anni il rappresentante della mafia in tutta la provincia di Trapani per stendere poi il suo potere anche in altre province come Agrigento e anche Palermo.
Una lunga scia di omicidio commessi direttamente o comandanti. Nel 1992 Messina Denaro fece parte di un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, che venne inviato a Roma per compiere appostamenti nei confronti del presentatore televisivo Maurizio Costanzo. Nel luglio 1992 Messina Denaro fu tra gli esecutori materiali dell’omicidio di Vincenzo Milazzo (capo della cosca di Alcamo), che aveva cominciato a mostrarsi insofferente all’autorità di Totò Riina; Messina Denaro strangolò barbaramente anche la compagna di Milazzo, Antonella Bonomo, che era incinta di tre mesi.
Messina Denaro fece anche parte del gruppo di fuoco che compì il fallito attentato al vicequestore Calogero Germanà, a Mazara del Vallo (14 settembre 1992). Dopo l’arresto di Riina, Messina Denaro fu favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi, insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca.
Nel novembre 1993 Messina Denaro fu tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo per costringere il padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci; infine, dopo 779 giorni di prigionia, il piccolo Di Matteo venne brutalmente strangolato e il cadavere sciolto nell’acido. I mandati di cattura nelle forze dell’ordine non furono mai eseguiti fino ad oggi. Il boss, grazie ad un sistema di coperture e complicità, rimanse irreperibile per 30 anni. Oggi con l’arresto si scrive una pagina di storia. E non solo per la Sicilia. La latitanza è finita.